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Storie e testimonianze dei nostri volontari.

 

 

Esperienze di reparto del Volontario Franco Demichelis che ha dedicato con tanto amore e passione molti anni della sua vita ai pazienti ricoverati all’Ospedale San Luigi.

 

PREMESSA

7 novembre 2012

Nulla sapevo di ospedali. Mi sono avventurato in questo ambiente senza immaginare quanto lo Spirito Santo mi sarebbe stato vicino. Di quel poco che sono riuscito a fare nulla devo a me stesso, ma adesso so che in tutto questo non sono mai stato solo.

Perciò dovrò ogni giorno ringraziare Dio per avermi concesso la grazia di questa esperienza!

                                                                                                                                                                                                                                  

MEMORIE

Novembre 2008 - ALESSIA

Alessia è con noi da qualche settimana. Ha 24 anni, non cammina, non parla e non vede. E’ così da quando aveva 4 mesi per essere stata sbalzata dall’auto e aver picchiato il capo sull’asfalto. Ma il vero miracolo è la mamma che con incredibile dedizione non abbandona mai la figlia. Con un sorriso mi dice: ”Spero una cosa soltanto, di non morire prima di Alessia, ma cinque dopo di lei!”. Guardo Alessia, coi suoi bei occhi neri e le accarezzo la fronte.

E’ come accarezzare la fronte di Cristo.

12 dicembre 2008 – MADDALENA

Maddalena, 87 anni, si trova in Medicina Interna da oltre 2 mesi, la colonna vertebrale irrimediabilmente compromessa, è bloccata a letto. Mi ha detto molto della sua vita, lunga e travagliata. Oggi ci ha lasciati per una casa di cura. Quel che non potrò dimenticare è il suo sorriso. Al mio arrivo in reparto andavo per prima cosa da lei. Vedendomi, Maddalena, mi regalava un dolcissimo sorriso. Era per me un’iniezione di serenità e stimolo ad agire.

Adesso so dove sta la ricchezza.  Mi mancherà il sorriso di Maddalena.

22 dicembre 2008 – NTOUK

Come potrò dimenticare questa donna ancora giovane, ma immenso coraggio. Avvezza al dolore che sapeva dominare egregiamente, così come sapeva gestire la propria malattia senza scomporsi. Dopo cinque anni se n’è andata in punta di piedi. Due giorni prima ho avuto la fortuna di accarezzarle la fronte. Mi ha risposto con un sorriso e dolcissimo “grazie”. Aveva sul comodino la foto del figlio quindicenne e l’immagine della Madonna, della quale era devotissima. Se ne è andata con questi due amori.

E’ come se avessi perduto una sorella.

23 dicembre 2008 – MARIA ELENA

Da qualche giorno c’è da noi questa donna di Brescia. Sa di essere affetta da una patologia particolare, e rara che rientra tra le specializzazioni del San Luigi Gonzaga. Pur conoscendo quello a cui può andare incontro non si mostra abbattuta e mi chiede una preghiera. “Lei, pero, spererà sicuramente di guarire” le dico. “Io spero di fare la volontà di Dio!” è la sua risposta.

O mio Signore, quanta fede.

27 gennaio 2009 – NADIA e il suo PAPA’

Se oggi non fossi andato mi sarei perso una occasione formidabile. Si tratta di Nadia, questa donna di soli 43 anni, col cervello danneggiato dal forcipe sin dalla nascita, la testa fasciata, distesa e incapace di muoversi, prossimamente col sondino gastrico perché non può più prendere cibo. Ma è di suo padre che devo parlare. Di quest’uomo dal coraggio incredibile che ha perso la moglie tre mesi or sono e che è rimasto solo con sua figlia che chiama affettuosamente “la mia bambina”. E’ rimasto solo, lui cardiopatico, solo con questa figlia fino a ieri, in un piccolo paese della Valsusa dove non c’è nulla, neppure un aiuto da chicchessia. Mi sono reso conto di trovarmi di fronte ad un uomo angosciato, in un momento in cui tutto il mondo pareva crollargli addosso. Parlava e piangeva, e mi raccontava: “Mia moglie ed io avevamo fatto un patto, chi di noi due avesse avuto la sorte di sopravvivere avrebbe dedicato ogni istante della sua vita alla nostra bambina. Ma ora che sarà di noi? Oh, se il Signore ci prendesse entrambi!”. Sono riuscito ad interromperlo e dirgli: “Ma lei non è solo. Lei neppure immagina quale ricchezza sia lei per il mondo e per tutti noi, e come il suo coraggio ci sia di monito e il suo esempio di stimolo. Come potrebbe l’Autore della vita dimenticarsi di un papà che si batte per la vita. Si è rasserenato ed ha sorriso, pur sapendo che per lui le notti coi piedi gonfi, mano nella mano della sua bambina saranno ancora lunghe.

19 marzo 2010 – MARIA

Reparto di geriatria. Noto una donna visibilmente abbattuta. Mi avvicino, la saluto e le chiedo come sta. Scuote il capo.

Le dico “Ma lei il coraggio di combattere però ce l’ha”.

“Oh no, quello l’ho perso da tempo” è stata la sua risposta.

Mi avvicino ancora di più e le domando: “Ma cosa è successo?”. Con voce molto sommessa e stentata commenta: “Mio figlio era uscito a fare un giro in bicicletta, ma non è più tornato. La mia vita è finita quando l’hanno trovato in un fosso, lui e la sua bicicletta”. Si è trattato di un auto?. Col capo mi fa cenno di sì. Allora le prendo la mano e le dico: Come la capisco. Adesso siamo in due perché anch’io ho perduto una figlia in tre secondi! E’ terribile, e gli altri non possono capire, ma facciamo una cosa: io stasera pregherò per lei e suo figlio, ma anche lei preghi per me perché ne ho molto bisogno.

Le stringo la mano, lei mi regala un sorriso e io un arrivederci.

21 aprile 2010 – SENZA NOME

Non mi è riuscito di conoscere il nome di questa anziana donna che non ha nessuno. Non sa dire neppure una parola, né si né no. Ti guarda e basta. Io l’aiuto con l’imboccamento all’ora della cena. Siccome tende a lasciar cadere il capo su un lato io cerco, di tanto in tanto, di riportarglielo in posizione dritta. Così facendo mi commuovo e penso: quale grazia è mai questa:

Io sto tenendo tra le mani la testa di Cristo. 

    

                                                                                                                                                                                                                                        Franco Demichelis 

Grazie Franco, tu porti nel cuore tutte le persone che hai ascoltato e consolato. Loro portano nel cuore, in qualunque luogo si trova la loro anima, il tuo sorriso, le tue parole e le tue carezze.

Ecco il contributo del nostro Referente Volontari Pronto Soccorso 

 Pierangelo Battù

Il Volontario in Pronto Soccorso (P.S.)

Luogo di sofferenza, cura e guarigione, dove il tempo si dilata e lo spazio si ristringe, il Pronto Soccorso è il posto dove il Volontario è di fronte a se stesso attraverso gli altri. Ci sono anche delle situazioni nelle quali ciò accade, ma qui parliamo del P.S.

 

Indipendentemente dalle ragioni personali (tutte rispettabili) il Volontario, in qualsiasi ambito, offre il suo tempo e la sua esperienza gratuitamente, con altruismo, in un progetto di solidarietà rivolto al benessere dell'altro.

 

Nel P.S. ci si trova immersi in un campione di umanità molto diversificate per età, razza, cultura, che ha però in comune un momento di sofferenza e quindi di difficoltà. Il trascorrere del tempo con il paziente, parente, accompagnatore è percepito in modo più lento della realtà. Questa condizione può generare nervosismo e conflittualità verso il personale sanitario. Per Medici, Infermieri, Oss il tempo non basta mai; per loro è una continua lotta contro l'emergenza, nel cercare di dare il meglio della loro professionalità. 

 

Qui subentra il Volontario di P.S. il quale deve esercitare il ruolo di "facilitatore" e fare da "ponte" tra il personale sanitario e l'utenza. Alcune funzioni:

fare da tramite tra assistito, familiari e personale, nonchè, da "supporto" ai familiari o accompagnatori;

contenere lo stress, il nervosismo e la rabbia dell'utenza;

dare informazioni, indirizzare o accompagnare nei percorsi fuori P.S.;

tenere compagnia ai pazienti soli (specie agli anziani);

prodigarsi in piccoli servizi (acqua, caffè, tel., pasti, cuscini, coperte, ecc.) che migliorano la qualità del tempo trascorso;

trasporto barelle e carrozzine fuori dal P.S.con operatore sanitario;

trasporto documenti dal P.S. a uffici e viceversa;

collaborare ed organizzare i familiari in sala d'attesa;

aiutare nella riorganizzazione delle barelle;

aiutare nella fotocopiatura di modulistica e documentazione; 

e poi ci si affida all'improvvisazione del momento. Il tutto, naturalmente, sotto la direzione del personale sanitario o dietro sua richiesta.

 

Pur non ricercando ne' disdegnando la gratificazione, ritengo l'esperienza di volontariato in P.S. una scuola di vita; ecco perchè all'inizio ho scritto che il Pronto Soccorso è il posto dove il Volontario è di fronte a se stesso attraverso gli altri. Ci si misura con la propria forza e le proprie fragilità, con le proprie emozioni. Si valutano le intensità dei nostri problemi e quando termina il turno di servizio... ringrazio Dio che sono stato di aiuto agli altri e che oggi torno a casa "con le mie gambe".

Ecco il contributo della nostra Volontaria Giovanna Astori

Perché il volontario

Se chiedete ad un Volontario come è arrivato a prendere questa decisione, vi racconterà una storia che nessuno prima di lui vi ha mai fatto conoscere, perché ognuno di loro ha un bagaglio di vissuto che non potrà mai essere uguale a quello di un altro.

Un sentimento però accomuna tutti i volontari: la sensazione che nella loro vita mancava qualcosa.

Sembra una contraddizione, ma per avere quel qualcosa non hanno dovuto spendere un soldo, ma solo offrire del tempo agli altri, il loro “tempo” e nient’altro.

 

Io volontaria

Non voglio raccontare la mia storia e i motivi che mi hanno fatto arrivare a prendere questo percorso, non c’è nulla di interessante e nemmeno di bello, ma vorrei parlare del mio incontro con un volontario di questa Associazione, che è stato come il fiammifero che ha dato fuoco alla miccia.

Ero venuta all’ospedale per fare un prelievo di sangue, al Totem era di servizio un signore molto gentile che distribuiva i numeri secondo la tipologia di prelievo che si doveva eseguire. Mi ha colpito molto la sua disponibilità e il servizio davvero utile che stava svolgendo.

Ho preso appuntamento con la dott.ssa Veglia e dopo un colloquio in cui ho spiegato le mie motivazioni, sono entrata a far parte dell’Associazione. Anche se nessuna professoressa mi avrebbe dato il voto, il primo giorno da volontaria è stato emozionante: avevo paura di commettere errori e di essere invitata a non presentarmi più in ospedale.

E’ andato bene il primo giorno e anche quelli successivi, poi mi è arrivata la proposta di provare ad andare a dare una mano in Pronto Soccorso, la prova è andata così bene che adesso sono presente in quel reparto 2 volte alla settimana.

 

Come ci vedono gli altri

L’attività presso il Pronto Soccorso non è difficile, si dà una mano come si può: alcuni di noi sono più portati nello stare vicino ai pazienti, altri preferiscono muoversi e aiutare ad accompagnare le persone alle visite di consulenza, altri ancora sono preziosi nel dare una mano in Triage il lunedì mattina.

Comunque si svolga la nostra attività, c’è sempre della gratitudine nei nostri confronti da parte del personale ospedaliero.

Anche i pazienti sembrano gradire il nostro operato, semplici cose come portare il vassoio del pranzo/cena, porgere un cuscino, una coperta o restare con loro a parlare un po’, se sono soli, vengono apprezzate molto e quando, a fine turno, si passa a salutare, ci sono molti ringraziamenti.

 

 

La nostra attività - episodi accaduti

Quando dico che faccio la volontaria al Pronto Soccorso ci sono due tipi di reazioni nelle persone che ascoltano: c’è chi inorridisce pensando a scene che ha visto nei telefilm; c’è chi invece ti guarda con aria di sufficienza e ti fa una domanda che in realtà è un’affermazione: “Chissà cosa potrai mai fare in un Pronto Soccorso”.

In effetti nessuno di noi volontari è chiamato a salvare il mondo, semplicemente ci rendiamo utili in piccoli gesti, che però hanno una conseguenza positiva nel reparto.

Faccio la baby sitter

Un giorno sono arrivate due signore vittime di un incidente stradale, con loro c’era una bambina di 7 mesi. La piccola non aveva subito nessun trauma mentre le due signore, che si sono poi rivelate essere la mamma e la nonna della bimba, erano state messe nelle barelle rigide per essere sottoposte ad accertamenti. In quelle condizioni la mamma non poteva muoversi e tenere la piccola vicino a lei. Mi hanno proposto di badare alla neonata, in una saletta tranquilla e vuota, fino a che non fosse arrivato il papà o qualcuno della famiglia che l’avrebbe accompagnata a casa.

E’ stata un’esperienza interessante e che mi ha fatto capire la mia utilità: occupandomi della piccola, il personale del P.S. non ha dovuto lavorare con una persona di meno.

Faccio la magazziniera

Capita talvolta che il P.S. sia affollato all’inverosimile, ma se i pazienti sono in attesa dei risultati dei prelievi o di un referto ecco che il volontario è senza lavoro.

Una mattina, mi sono affacciata nel corridoio che conduce in cucina e ho visto un OSS (Operatore Socio Sanitario) che apriva degli scatoloni e sistemava il contenuto negli armadi. Ho chiesto se potevo dare una mano e così mentre sistemavamo le cose, ho anche imparato i nomi in gergo di alcuni oggetti. E’ stato bello dare una mano al collega e memorizzare dove sono i guanti, le provette vuote, le siringhe… Il lavoro fatto mi è tornato utile in alcune occasioni, quando ho potuto indirizzare a colpo sicuro colleghi che arrivavano da altri reparti senza costringerli a leggere l’elenco appeso fuori da ogni armadio.

Aiuto un paziente a mangiare

Lo confesso: dare da mangiare non mi piaceva, mi sentivo in imbarazzo perché avevo paura di non farlo bene. Immaginavo di essere al posto della persona che avevo di fronte e pensavo che non mi sarebbe piaciuto essere stata imboccata. Un giorno ho compreso che il problema era solo mio.

Avevo portato il vassoio con il pranzo ad un signore, era rimasto solo, senza parenti, quando ho visto il primo cucchiaio di minestra non arrivare alla bocca ho capito che non potevo fare finta di niente.

Posso solo dire che ha mangiato tutto, non abbiamo parlato molto, ma quando sono passata a salutarlo, prima di andare via, mi ha ringraziato ancora una volta.

25 novembre Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre 2014 credo di essermi trovata a viso a viso con un’ennesima vittima di questa assurda violenza.

Come tutte le mattine quando arrivo al Pronto Soccorso, faccio un giro nella struttura per farmi vedere dal personale sanitario, dai pazienti e dai loro accompagnatori.

Una donna in barella, ha attirato la mia attenzione perché ho notato le scarpe che spuntavano dal lenzuolo, mi sono avvicinata e le ho chiesto se voleva un sacchetto di plastica in cui riporle, a volte le persone non sanno dove metterle e così le tengono addosso.

Mi ha risposto che doveva essere visitata da un ortopedico. “In questo caso è meglio che non la tocchi e lascio che sia il medico a sfilarle” ho detto io, in quel momento la donna ha girato il viso per guardarmi: due occhi bellissimi ma mesti, uno dei due era circondato da una tumefazione viola.

Un pugno allo stomaco mi avrebbe fatto meno male, perché ho pensato subito a un gesto violento nei suoi confronti, anche se lei parlava di un incidente domestico, quasi vergognandosi.

Non saprò mai la verità …

Questa mia testimonianza finisce qui, perché non devo e non voglio violare la riservatezza delle persone, fare la volontaria è anche questo: vivere una porzione di vita degli altri, aiutare come è possibile, ma poi ritirarsi in buon ordine.

 

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